Rispondendo all’interpello di una società italiana, Agenzia delle Entrate ha preso posizione sul trattamento fiscale relativo agli utility token. Ma qualcuno già eccepisce
In Italia sono arrivate le prime risposte di Agenzia delle Entrate a tentare di fare chiarezza sul regime dell’IVA e delle imposte dirette in relazione alle ICO e, in particolare, agli “utility token”.
Una società italiana, Innovitas Vitae, intenzionata a porre in essere una ICO per emettere utility token, finazlizzati alla fruire dei suoi servizi per la diagnosi della infertilità inspiegata, ha proposto un interpello ed ottenuto dall’Agenzia delle Entrate una posizione sui diversi profili fiscali dell’operazione.
Alessandro Lerro, presidente di AIEC e del comitato scientifico di Assofintech, ne ha illustrato i termini in un articolo apparso nei giorni scorsi su Forbes Italia.
In sintesi, Agenzia delle Entrate afferma che per gli utility token ai fini IVA si applica la stessa disciplina dei voucher: l’IVA non è dovuta al momento dell’acquisto del token, ma all’atto dell’acquisto del bene/servizio che il token incorpora. Lo stesso principio vale ai fini IRES: il valore del token è imponibile quando chi l’ha acquistato lo utilizza per fruire del bene/servizio.
Confermando l’orientamento europeo, la conversione di criptovalute in valute fiat non è imponibile IVA, mentre la giacenza è rilevante ai fini fiscali e “dovrà essere valutata con riferimento al criterio del valore normale, cioè quello corrispondente alla quotazione della criptovaluta al termine dell’esercizio”.
Peraltro, nonostante la chiarezza fiscale sia certamente un valore per le imprese italiane che vogliano finanziarsi con ICO, alcuni osservatori hanno già eccepito nel merito. E’ il caso per esempio di Stefano Capaccioli e Dario Deotto che, su il Sole24Ore, sottolineano come, in realtà, l’acquisto di utility token non consiste necessariamente in un investimento del proprio risparmio, ma, come nel caso dell’interpello, possono rispondere anche a esigenze di consumo.
In tal caso, secondo gli autori dell’articolo, le persone fisiche che acquistano i token non agiscono come imprenditori che acquistano beni/servizi a termine per cautelarsi sulle oscillazioni dei prezzi, generando così un “reddito diverso” ai sensi del Tuir, redditi peraltro connessi a investimenti di natura finanziaria. Infatti tali redditi, derivanti da contratti derivati o a termine “devono avere la caratteristica di poter essere chiusi o di dare diritto a un differenziale, e non certamente di ottenere un servizio o di beneficiare di qualche altra utilità”.