I fondatori di Iconium, prima “blockchain venture” italiana, parlano dell’impatto e delle potenzialità della tecnologia blockchain
Fabio Pezzotti, co-fondatore di Iconium (società italiana nata nel 2018, che investe su progetti legati alla blockchain) e Mauro Del Rio, socio della stessa Iconium, hanno rilasciato un’interessante intervista ad AGI che approfondisce il punto di vista sulle nuove tecnologie dal punto di vista di chi è stato protagonista della prima “era internet”. Pezzotti, infatti, aveva fondato, all’inizio degli anni 2000, le startup Webnext e Xoom.it, poi oggetto di exit e Del Rio è noto per aver creato Buongiorno nel 1999, quotata nel 2003 e ceduta a Docomo nel 2021 per 300 milioni di dollari.
Pezzotti e Del Rio dal fenomeno blockchain si aspettano un impatto finanziario dello stesso ordine di Internet nella seconda metà degli anni ’90, perché la blockchain riguarda prima di tutto la fiducia delle persone e il denaro. Inoltre, le ICO sono molto cambiate rispetto a solo un anno fa. Ora in chi raccoglie è cresciuta la consapevolezza di dover avere un team e un progetto non solo sulla carta e, come su Internet vent’anni fa, chi investe si scambia know how e competenze. Inizia dunque ad “esserci un filtro naturale e quindi meno fuffa“.
Questo arricchimento di know-how si riflette in Iconium, che, puntando sulla blockchain aperta e non proprietaria, deve saper valutare l’impatto sistemico dei progetti. “Uno dei criteri che valutiamo è quanto un progetto è decentralizzato. Abbiamo un portafoglio di una quindicina di progetti, con tagli d’investimento tra i 50 e i 350-400 mila euro. Oggi gli investitori sono soprattutto imprenditori, ma l’obiettivo è arrivare anche agli istituzionali“, spiega Pezzotti.
E sebbene questi ultimi non siano visti di buon occhio dai puristi della blockchain, Del Rio ritiene che sia sicuramente positivo che gli investitori istituzionali adottino le ICO: “è un metodo che, un po’ come il crowdfunding, ha grandi potenzialità ma deve essere maneggiato con cura. Va bene se rende libere persone consapevoli, non se fa fare cose inadatte. Il fatto che ci siano istituzioni e regole è un aspetto positivo. Rispetto ai progetti di vent’anni fa, la possibilità di una maggiore democratizzazione resta“.
Non bisogna però aspettarsi vere innovazioni in tal senso dalle grandi società tecnologiche: “l‘innovazione non arriverà dagli incumbent ma da chi creerà un Facebook migliore di Facebook“, anche perché molti progetti blockchain vanno a distruggere il modo con cui i grandi gruppi fanno soldi. Ecco perché molti fondi che hanno scommesso su Amazon o Facebook oggi puntano sulla blockchain.
A suo avviso, questa tecnologia è applicabile soprattutto in ambito finanziario, seguito da e-commerce, pubblicità ed editoria digitale. La questione del controllo dei dati all’origine, sollevata spesso per la blockchain, si potrebbe risolvere attraverso standard di controllo rigidi che assicurino il dato oppure il riconoscimento dell’identità digitale degli oggetti di lusso. “La certificazione arriva dal marchio, che ha l’interesse a fornire dati corretti perché aumentano il valore dell’oggetto. Sono progetti che per funzionare devono avere ampia adozione“, spiega Pezzotti.
Tuttavia, i due soci di Iconium ritengono che l’Italia sia ancora poco aperta al fintech. “La mia impressione è che il fintech sia molto integrato al sistema bancario, e anche per questo non stia facendo quadrato. A volte dietro le parole fintech o blockchain c’è più un semplice maquillage che un vero sviluppo di competenze“, sostiene Pezzotti. Ecco perchè Iconium vuole partire dall’Italia ma con una logica globale. “Hong Kong e Silicon Valley oggi sono più vicine a Milano rispetto a vent’anni fa. Nessuna delle opportunità d’investimento di Iconium, al momento, è italiana“, conclude Del Rio.