Venerdì 12 Luglio, la Consob ha rilasciato, prima in Europa, il regolamento in materia di “Raccolta di capitali di rischio da parte di imprese start-up innovative tramite portali on-line” (equity crowdfunding).
E’ indubbiamente un passo avanti notevole, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello culturale, in quanto vengono riconosciuti i ruoli potenzialmente trainanti delle start-up e, parallelamente, di internet come strumento per facilitare l’accesso al credito. Ma… c’è qualche ma…
Il regolamento consta di 25 articoli ed è stato redatto in tempi relativamente brevi con lo scopo, sostanzialmente, di facilitare la raccolta (e per converso l’investimento) di capitale di rischio tramite portali on-line. I vincoli principali erano fondamentalmente la tutela dell’investitore e l’armonizzazione con le norme esistenti anche a livello europeo.
Posto che bisogna applaudire lo sforzo e la rapidità con cui si è giunti a questo regolamento, ci sono alcuni punti per i quali nutro qualche serio dubbio quanto alla sua efficacia. Ma, non essendo un legale, spero di avere capito male e di essere sonoramente smentito.
La definizione di start-up. Per poter raccogliere fondi in crowdfunding la start-up deve essere “innovativa”. Tale definizione è demandata all’articolo 25 n. 179 del 2012 che pone una serie di requisiti dei quali alcuni sembrano piuttosto restrittivi. Per esempio, le quote di maggioranza non possono essere detenute da società di capitali e la start-up non può essere attiva da più di 48 mesi. Sono dunque esclusi molti spin-off (il che oltretutto è dichiarato esplicitamente) che potrebbero invece essere parecchio interessanti sia in termini di innovazione che di garanzia per l’investitore. La start-up, inoltre, non deve aver distribuito utili, non deve aver fatturato più di 5 milioni e deve avere come unico oggetto sociale produzione o commercializzazione di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico (ndr: chi determina tale valore?!)
Presi tutti insieme mi pare che questi requisiti limitino fortemente il numero e la qualità delle iniziative che un portale di crowdfunding sarebbe in grado di presentare a beneficio degli investitori potenziali.
Limiti agli investimenti. Un utente privato può investire in una start-up fino €500 direttamente, ma non più di €1000 all’anno. Mentre una società di capitali può investire fino a €5000 per un massimo di €10.000 all’anno. Se questi soggetti vogliono investire di più, devono necessariamente collocare il loro ordine presso una banca d’affari o una SIM. Con conseguenti ulteriori commissioni da pagare…
Al di là di garantire “l’ingenuo investitore” che il legislatore si preoccupa di salvaguardare dalle subdole manovre dell’aspirante capitalista dal canino appuntito e truffaldino, siamo proprio certi che banche e sim diano la più ampie ampie garanzie (v. bond argentini, obbligazioni parmalat e quant’altro…)?
Limiti al perfezionamento del finanziamento. Se la start-up, grazie al portale di crowdfunding, raggiunge l’obiettivo di raccolta, non può incassare il finanziamento se almeno il 5% del suo capitale non sia stato già sottoscritto da investitori professionali o da fondazioni bancarie o da incubatori di start-up innovative.
Nello spirito, commenterei questa norma come sopra. Nella sostanza mi chiedo come faccia per converso il povero startuppista, che non sta vedendo soldi da 48 mesi (v. requisiti), che non riusciva a trovare uno straccio di angel e che finalmente ha trovato uno spiraglio per dare corpo alla sua idea, a trovare una banca che gli sottoscriva il 5% del suo capitale.
Ripeto, non sono un legale e spero ardentemente di essere smentito, ma, vista così, non vorrei che di crowd ne possa venir fuori poco e tantomeno di funding…