Investire nell’immobiliare con equity crowdfunding è meno redditizio ma anche meno rischioso che investire in startup: un’opportunità per bilanciare il portafoglio di asset “reali”
L’equity crowdfunding è un’opportunità per fare investimenti che fino a pochi anni fa erano pura esclusiva dei grandi investitori. Per un individuo, l’unica alternativa per allocare una parte del proprio patrimonio finanziario direttamente nell’economia reale era acquistare titoli in borsa. Investimento che, in realtà, non fornisce direttamente capitali all’impresa per il proprio sviluppo, ma lo fa solo indirettamente aumentandone (così si spera) il valore di mercato.
L’equity crowdfunding assomiglia di più all’investimento in una quotazione. Entrambi infatti forniscono finanza “fresca” all’impresa, che la userà per crescere ulteriormente e/o più rapidamente. La differenza principale è la dimensione, ma anche il fatto che l‘equity crowdfunding è una forma di investimento più rischiosa e, soprattutto, illiquida.
Come ho già scritto in un precedente articolo, uno dei modi in cui il rischio può essere ridotto è diversificare il proprio portafoglio di investimenti, non solo numericamente, ma anche qualitativamente, cioè selezionando imprese che operano in diversi settori.
L’apertura dell’equity crowdfunding a tutte le PMI, e non più alle sole startup o PMI innovative, amplia anche i settori di riferimento: settori solidi, magari espressione dell’eccellenza italiana (food, ristorazione, moda, design…), con modelli di business più tradizionali, ma con una redditività e un potenziale di crescita più prevedibile. Tra questi, uno dei settori più tradizionali che ora può accedere all’equity crowdfunding, è l’immobiliare.
E’ un mercato che richiede conoscenze molto specifiche e, per questo, nel mondo si sono affermate piattaforme specializzate in real estate crowdfunding, che stanno crescendo a ritmi elevatissimi. E non solo nei soliti USA e UK, ma anche, per esempio, in Francia, Germania e Spagna.
In Italia esiste fino ad ora una sola piattaforma di equity crowdfunding immobiliare, Walliance, partita solo nella seconda metà dello scorso anno.
In termini di diversificazione del proprio portafoglio investito in capitale di rischio, le piattaforme di real estate crowdfunding come Walliance offrono un’opportunità non banale, quella cioè di investire in una asset class relativamente sicura, ma senza dover disporre degli ingenti capitali necessari per acquistare un immobile per intero.
Il modello di Walliance, in particolare, si fonda sulla selezione accurata dei progetti immobiliari in base alla potenzialità del mercato in cui è situato l’immobile, allo stato amministrativo (concessioni edilizie ottenute, contratti di appalto definiti) e al track record della società che propone l’investimento, che include anche verifiche in centrale rischi.
Per un progetto di equity crowdfunding immobiliare, viene generalmente costituito un veicolo societario apposito (SPV= Special Purpose Vehicle) in cui lo sviluppatore apporta capitale proprio e un finanziamento bancario. Viene poi deliberato un aumento di capitale riservato al “crowd” che, quindi, se la campagna ha successo, diviene socio dello SPV.
I fondi raccolti attraverso equity crowdfunding vengono impiegati per l’acquisto e/o la ristrutturazione dell’immobile e l’obiettivo economico dell’operazione è la vendita dell’immobile dopo un periodo di tempo che può variare dai 18 ai 24 mesi. La redditività dell’investimento dipende quindi dal profitto realizzato (prezzo di vendita al netto dei costi sostenuti per l’investimento). Walliance, in particolare, considera accettabile un progetto che produca un ROI per il crowd di almeno il 10% su base annua, laddove la quota di profitto da destinare al crowd viene ripartita proporzionalmente alle quote del veicolo societario possedute, ma tenendo anche conto del valore del finanziamento bancario, se garantito dallo sviluppatore.
Quindi, rispetto a una campagna di equity crowdfunding tradizionale, per esempio relativa a una startup tecnologica, l’aspettativa di ritorno sull’investimento per un’operazione immobiliare è inferiore, ma, d’altro canto, l’orizzonte temporale è di massimo 2 anni contro i 4, 5 o 6 di una startup. Inoltre, è plausibile ritenere che la probabilità di una exit sull’investimento immobiliare sia molto più elevata di quella di una startup.