L’equity crowdfunding potrebbe essere una leva per almeno 7.000 PMI del Mezzogiorno per favorire l’accesso al credito e finanziare la crescita
Secondo il Rapporto PMI Mezzogiorno di Confindustria e Cerved, rilasciato ad inizio 2018 e riferito ai bilanci 2016, i segnali sulle performance delle PMI al Sud sono positivi:
- Il fatturato è tornato a livelli pre-crisi ed è cresciuto, tra 2016 e 2015, di +2,7%, più della media nazionale (+2,3%)
- L’EBITDA migliora: +1,6% tra 2016 e 2015, anche se la media nazionale è cresciuta di più (3,6%)
- Il rapporto Debito/Patrimonio Netto migliora: per le PMI del sud è stato pari al 91% (era >120% nel 2007), ma a livello nazionale è ancora migliore (78%)
- Migliora la sostenibilità del debito: il rapporto oneri finanziari / EBITDA si è ridotto al 18,9% del 2016 (era il 31,7% nel 2007)
Andando più nel dettaglio, su circa 25.000 PMI del Mezzogiorno costituite in forma di società di capitali, ce ne sono 7.000 (il 27%) che presentano un rapporto debiti/Ebitda inferiore a 2. Questa è la soglia al di sotto della quale Cerved classifica le società come “sicure o solvibili”. Il rapporto di Cerved-Confindustria calcola che queste aziende potrebbero ricorrere a finanziamenti in debito per 9,4 miliardi pur rimanendo al di sotto di soglia 2 e, quindi, senza peggiorare il loro merito creditizio.
In altre parole, ciascuna di queste aziende potrebbe finanziare mediamente la propria crescita con 1,35 milioni. Ma ciò non accade. Le ragioni principali sembrano essere, da un lato, che il costo del debito è ancora elevato (di più al Sud che nelle altre regioni italiane) e, dall’altro, che gli imprenditori preferiscono autofinanziarsi e crescere limitatamente piuttosto che peggiorare il proprio rapporto debito/PN.
La soluzione potrebbe dunque essere quella di finanziare una parte degli investimenti per la crescita aprendo il capitale a soci finanziatori in modo da intaccare solo parzialmente il rapporto debiti/PN.
Peraltro, l’accesso al capitale di rischio non è né semplice né a buon mercato, la dimensione degli investimenti, spesso, non è sufficiente ad attirare l’interesse dei fondi di private equity e, da un punto di vista “culturale”, gli imprenditori italiani in generale sono maldisposti ad aprire il proprio capitale a terzi.
L’equity crowdfunding potrebbe essere una soluzione per risolvere questi problemi:
- L’accesso alle piattaforme di equity crowdfunding è agevole (a patto di presentare piani di crescita importanti e credibili) e i costi sono molto limitati (le piattaforme si fanno pagare a success fee);
- La dimensione massima possibile della raccolta è di 5 milioni e la media è di circa 300k, con picchi, tuttavia, oltre il milione. Dunque un ticket da piccolo a intermedio, non rilevante per i fondi;
- L’apertura del proprio capitale è “light”: anzitutto non entrerebbe un solo socio finanziatore, che avrebbe necessariamente interesse ad entrare nella governance, ma molti investitori con piccole quote non significative. Inoltre, possono essere collocate quote senza diritto di voto che consentono all’imprenditore di continuare a gestire l’impresa con ampia autonomia, anche se, ovviamente, con l’impegno di informativa costante verso gli investitori “crowd”.
Con queste premesse, il ricorso all’equity crowdfunding, per le imprese che abbiano dimensioni ed esigenze di investimento più medie che piccole, potrebbe anche essere un primo passo, relativamente poco impegnativo, per predisporsi a raccolte più rilevanti come, per esempio, la quotazione all’AIM.