Le startup finanziate con equity crowdfunding danno un IRR del 33%

E’ la conclusione di uno studio approfondito sulle startup UK che si sono finanziate sulle piattaforme di equity crowdfunding. Ma sono proprio startup?

 

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L’Equity Crowdfunding è una forma di investimento ancora molto giovane e il suo successo dovrà essere realmente misurato in base ai rendimenti che genera per gli investitori.

Intanto, nel Regno Unito, AltFi, un aggregatore di dati di equity crowdfunding, ha pubblicato un rapporto interessante che si concentra sulle più significative piattaforme di equity crowdfunding inglesi: Crowdcube, Seedrs, SyndicateRoom, CrowdBnk e Venture Funders. Gli autori hanno monitorato tutte le campagne dal 2011 al settembre 2015. In totale si tratta di 431 round di investimento per 367 aziende. Nell’osservare i dati è importante tener presente che in UK, gli investitori beneficiano di una sovvenzione sotto forma di consistenti agevolazioni fiscali. Gli schemi EIS e SEIS consentono sgravi fiscali (rispettivamente 30% e 50%) sull’importo investito, il che è parte di un programma di governo per incoraggiare l’innovazione e la creazione di posti di lavoro.

Ecco alcuni dei risultati:

  • la dimensione media di un round di finanziamento di successo è aumentato dal 2012, passando da circa £200k a circa £400k
  • l’età media delle aziende al momento della campagna era di circa 3 anni
  • le aziende che hanno raccolto un finanziamento hanno accresciuto il numero dei dipendenti dell’83%, aumentando così i posti di lavoro
  • è stato calcolato un tasso interno di rendimento (IRR) in base alla situazione al settembre 2015: il rendimento è stato del 2,17%
  • ma, incorporando i benefici fiscali EIS & SEIS, applicabili alla maggior parte degli emittenti, l’IRR aumenta al 33.79%
  • Delle 367 imprese finanziate 29 sono saltate e altre 41 non danno più segni di vita lasciando presumere quindi che non siano più in attività.
  • dunque 297 imprese finanziate, l’80%, sono ancora operative

In generale, si stima che circa la metà delle start-up falliscano e, quindi, investire in società early stage è rischioso. Un tipico Angel o venture capitalist ripartisce di conseguenza il suo investimento in un portafoglio diversificato di investimenti attentamente valutati. Pochi però si rivelano casi di eclatante successo.

Che cosa impariamo dai dati AltFi? E’ mia opinione che sia ancora troppo presto per trarre conclusioni. Un investimento in imprese early stage non è fatto con l’aspettativa di ottenere rendimenti istantanei. Si tratta di una maratona – non di uno sprint. Solo nei prossimi anni saremo in grado di vedere se il “crowd” mostra una sorta di saggezza collettiva. Allo stesso tempo le piattaforme miglioreranno certamente nella loro capacità di mettere a disposizione un processo di investimento più efficiente ed efficace. AltFi consiglia alcune best practice per le piattaforme di finanziamento, tra le quali, soprattutto, un maggior grado di trasparenza. Lato piattaforme, non c’è davvero alcun bisogno di nascondere i fallimenti. E’ così che funziona il capitalismo, alcune aziende falliranno, certo, è quindi bene esserne pienamente consci, perché nascondersi dietro a un dito?

Lato imprese, la trasparenza si deve esplicitare invece nel tenere informati investitori e potenziali investitori sull’andamento del business, anche, e soprattutto, rispetto alle attese. Questo ovviamente utile a chi ha investito, ma anche a chi potrebbe investire in un nuovo round. Le piattaforme, peraltro dovrebbero essere le prima ad incentivare il tracciamento di questo tipo di informazione per aumentare la qualità dell’offerta e la consapevolezza degli investitori.

L’Equity Crowdfunding è ancora molto nuovo e Internet sta inevitabilmente generando efficienze per le giovani imprese che hanno bisogno di capitali e per l’accesso agli investitori cui precedentemente era negata la possibilità di investire in piccole e medie imprese. E’ già una buona cosa ma col tempo maturerà e migliorerà ancora.

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