L’Europa punta a faciltare l’adozione delle tecnologie blockchain e distributed ledger firmando una dichiarazione comune cui hanno aderito 22 Paesi. Tranne l’Italia
Martedì 10 aprile, 22 paesi europei hanno firmato una dichiarazione in cui i firmatari si impegnano a cooperare come partner nello sviluppo e nella diffusione della tecnologia blockchain. Tra i firmatari ci sono Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Regno Unito, con altri paesi non firmatari invitati a partecipare. Spicca l’assenza dell’Italia, per motivi che non sono stati chiariti.
Secondo la dichiarazione “Cooperation on a European Blockchain Partnership“, gli sforzi per riaffermare il ruolo guida dell’Europa a livello globale nella blockchain sono iniziati nell’ottobre 2017, quando il Consiglio europeo ha chiesto alla Commissione di presentare un approccio europeo alla blockchain.
Il documento si sofferma diffusamente delle proprietà della Blockchain: “Le tecnologie blockchain e distributed ledger sono considerate particolarmente promettenti nel garantire maggiore sicurezza, integrità e trasparenza nell’erogazione dei servizi, nell’applicazione delle normative e nel perseguire l’efficienza nella conformità legale, attraverso i confini all’interno del mercato unico digitale”.
Rilevando che la Blockchain ha il potenziale per trasformare i servizi digitali in Europa, i firmatari hanno dichiarato: “L’Europa è ben posizionata per assumere una posizione di leadership globale nello sviluppo e nell’applicazione delle tecnologie blockchain e distributed ledger … i servizi basati su blockchain hanno il potenziale per rendere i servizi digitali incentrati sull’utente più decentralizzati e sicuri e di stimolare nuovi modelli di business a vantaggio della nostra società e dell’economia. Tali servizi creeranno opportunità per migliorare i servizi nei settori pubblico e privato, migliorando in particolare l’utilizzo delle informazioni del settore pubblico, preservando l’integrità dei dati e fornendo un migliore controllo dei dati da parte di cittadini e organizzazioni che interagiscono con le amministrazioni pubbliche, riducendo le frodi, migliorando il mantenimento dei registri, l’accesso trasparenza e verificabilità, all’interno e al di là delle frontiere”.
La cooperazione, sostengono i firmatari, impedirà un” approccio frammentato” e contribuirà alla diffusione di catene e registri interoperabili. Gli standard di cooperazione probabilmente produrranno regolamenti armonizzati più efficienti e contribuiranno a favorire la concorrenza. La cooperazione accademica e scientifica affronterà le barriere scientifiche nello sviluppo di “modelli teorici, la scalabilità e monitoraggio degli strumenti, la sicurezza, le architetture, la riservatezza dei dati e i modelli economici“.
I firmatari sperano che un simile quadro di fiducia possa fornire condizioni di parità e favorire la concorrenza, con le PMI e le start-up che potranno fornire servizi transfrontalieri su un piano di parità con attori più grandi. Come condizione per la firma, a ciascun paese sarà richiesto di designare un rappresentante presso la Commissione responsabile per “l’identificazione di una serie iniziale di servizi digitali transfrontalieri esistenti nel settore pubblico che otterrebbero un valore aggiunto dal supporto di un’infrastruttura di servizi blockchain e inizieranno a esplorare altri casi d’uso“.
Questo clima di agevolazione e normalizazione “cross-border” è stato recentemente testimoniato anche dal rilascio di una boa di regolamento europeo sul “Crowdinvesting”, peraltro non esente da forti critiche, come abbiamo riportato su Crowdfunding Buzz nei giorni scorsi.